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Pensierino di Ottobre 2023

Da Pino

L'anno del signore 1981 fu un anno cruciale, di svolta imoprtante nella mia vita, forse il più importante dopo quello in cui vinsi il concorso al Collegio Pacinotti e mi trasferii a Pisa a frequentare l'Università invece che al Politecnico di Torino, cui ero destinato dalla storia ma non dal fato. Quell'anno, dopo avervi svolto il lavoro di tesi in ingegneria, fui assunto in CSELT, l'allora prestigioso centro di ricerca della SIP, azienda di stato delle Telecomunicazioni. Entrai a far parte della grande squadra CSELT/SIP/Telecom e non l'avrei più lasciata fino alla fine della mia attività lavorativa.

Quell'anno deve essere stato l'anno di svolta, l'anno della vita, anche per Pino (il cognome non mi è noto), giovinotto più o meno mio coetaneo. In quell'anno infatti decideva, probabilmente con uno sforzo importante, di rilevare la gestione di un piccolo bar in periferia, a Torino, in una zona molto popolare, in Via Lanzo.

Via Lanzo è a quattro passi da Via Reiss Romoli, dove sorge(va) la sede dello CSELT. In CSELT c'era a quei tempi un'ottimo servizio di mensa autogestita da una cooperativa di lavoratori, allora si usava così. Alla mensa aziendale della CAMLC (Cooperativa Autogestione Mensa Lavoratori CSELT) il cibo era eccellente, perciò non c'era nessuna buona ragione di cercare altrove. Ma si sa, ogni tanto fa piacere cambiare, e una volta ogni tanto andavo insieme a qualche collega a mangiare un panino in quel baretto. Li trovavo particolarmente buoni, e di panini me ne intendevo dopo sei anni da fuori sede a Pisa...

A Pisa negli anni settanta c'era un mitico bar in Via dei Mille, proprio sotto la mia finestra al collegio. Era noto per i suoi panini: li imbottivano con tutto quello che gli capitava sottomano, e te li facevano anche su espressa richiesta. Intendiamoci: non sto parlando di banalità stile pomodoro e tonno o prosciutto e mozzarella. Avevano in un bancone bene in vista tinozze con dentro intrugli predisposti alla farcitura dei panini e delle focacce. Strane pozioni di formula ignota e di consistenza semidensa per favorire la spalmabilità, con grumi difficilmente decifrabili di varia natura, forma, colore e sapore. Nessuno si sognava di chiedere cosa ci fosse dentro, era robba bbona e tanto ci bastava. Una volta, per sfizio e quasi per sfida, chiesi una focaccia ripiena di maionese, prosciutto crudo e acciughe. Naturalmente il ragazzo che preparava i panini non battè ciglio e mi fece una focaccia sontuosamente unta e ripiena, e così saporita che ricordo ancora come l'acciuga si sposasse bene col prosciutto. Forse dovevo brevettarlo...

Ma da Pisa torniamo a Torino. Un bel giorno dell'81, non ricordo la data esatta (in fondo non era un matrimonio, anche se un po' di amore sbocciò) ci fu una prima volta in cui entrai da "Da Pino". Il bar si chiamava così. Lo so, il nostro eroe non brillava quanto a fantasia lessicale, ma per quella culinaria, lèvati di mezzo, non ce n'è per nessuno.

Pino era un ragazzo con un suo fascino, somigliava secondo me molto a Don Johnson, alias Sonny Crockett, il biondo di "Miami Vice" (roba da boomers). Non rimasi però affascinato dall'aspetto del proprietario/gestore, preparatore e gran sacerdote della varietà di panini e focacce ripiene, ma dal bancone di vetro ricurvo: dietro c'erano vasche ripiene di intrugli attraenti e acquolinosi, difficilmente decifrabili (vi ricorda qualcosa?) e di consistenza cremosa, abbondanti in materie grasse e senza pietà per le mode alimentari. Allora i vegani non erano ancora stati inventati, ma c'erano i macrobiotici che se si vuole erano cretini quanto i vegani, che sono destinati a sparire come hanno fatto i suddetti macrobiotici. Credo che se per sbaglio un vegano entra nel bar lo devono portar fuori in barella solo per la quantità di proteine e grassi animali penetrati nell'organismo attraverso gli occhi e il naso, se non per bocca.

La nostra saltuaria frequentazione di questo luogo in cui gli operai e i muratori dei dintorni venivano a rifocillarsi con qualcosa di calorico rinforzato da un gotto di vino fu premiata, per lo meno nell'orgoglio, quando il bar "Da Pino" nell'83 si classificò terzo in un concorso de "La Stampa" per i migliori bar specializzati in panini - non uso il termine paninoteche per rispetto a Michele Serra - di Torino. Naturalmente gli altri nove dei primi dieci avevano prezzi almeno doppi di quelli del nostro. Il ritaglio di giornale, ormai sbiadito e quasi illeggibile, fa ancora bella mostra di sè incorniciato sul muro accanto all'ingresso.

Gli anni passano, le mamme imbiancano, e quarantadue sono tanti. La mia frequentazione saltuaria del baretto è sopravvissuta alle felici nozze di Pino con Stefania: il bar cambiò nome poco dopo, e divenne "Da StePi", secondo me meno anonimo ma meno bello dell'originale. Stefania, una bella signora bruna, era infatti diventata indispensabile e insostituibile nella gestione del bar: Pino alle salse e ai panini, lei al banco, alla cassa, ai caffè e bevande, era naturale che chiedesse un po' di spazio anche nell'insegna... smile
Negli anni ho visto crescere i figli, che inizialmente venivano a giocare al bar e dopo qualche anno hanno cominciato ad aiutare. Oggi il bar dà lavoro a tutta la famiglia, e fortunatamente per loro il lavoro non gli manca. Se lo meritano.

Da quando sono in pensione (gennaio 2018) credo di non essere mia più andato a mangiare un panino da StePi, non era più capitato. Oggi ero, a ora di pranzo, nei pressi del vecchio CSELT (cosa ci facevo sono affari miei, cosa state a curiosare?) e ho pensato che, se avessi trovato un posto lì nei pressi dove parcheggiare la macchina - impresa improba - sarei andato a vedere se il baretto era ancora al suo posto. Ho trovato miracolosamente posto non lontano, ma camminando verso il bar non vedevo l'insegna. Tutto cambiato, da quelle parti in via Lanzo: un kebabbaro, una agenzia immobiliare, un negozio di allarmi, tutta roba nuova. Ho fatto mente locale e avevo sbagliato di una ventina di metri, il bar era ancora lì, all'angolo con Via Rueglio.

Al banco la signora Stefania, dietro il bancone di vetro ricurvo, addobbato dalle varietà di panini e focacce farcite, e dietro le mitiche vasche di tonno e carciofini e di "piccantino" sempre lui, inossidabile, con la paletta in mano e due grill elettrici dietro le spalle, a sfornare i suoi profumati panini ripieni di porchetta e gorgonzola, salsarosa e Wurstel, mortadella e senape, bresaola e filadelfia. Con l'acquolina in bocca mi sono seduto dopo aver preso un panino con l'imprescindibile "piccantino", una focaccia vegetariana con frittata e zucchine (e l'immancabile dose di maionese) e una birra media.

Ancora due parole sui panini devo dirle. Il baretto era conosciuto dai colleghi snob (che poi però si travestivano e ci andavano tirando su il bavero della giacca e dietro un paio di occhiali da sole) come "l'unto" con termine giocosamente dispregiativo, ad indicare la quantità di materie grasse vegetali ed animali presenti nelle preparazioni. I panini di Pino sono di quelli che devi mangiare con attenzione, sopra un piatto, perchè per quanta sia la cura nell'aggiustamento della mira del morso un po' di ripieno straborda sempre esondando gli argini della crosticina del pane appena abbrustolito sul grill, e rischia di far danno sui pantaloni.

Mentre ingurgitavo avidamente ho notato sulla parete di destra un articrecensioneolo di giornale che non avevo mai visto, mi sono avvicinato ed ho visto che la copertura mediatica del bar si era arricchita nel 2018 di un articolo su "Repubblica", che riporto qui a lato (cliccare sul thumbnail). Sono stato contento per Pino e Stefania. Sazio dei miei panini e della mia birra mi sono alzato per un caffè al banco, mi sono diretto alla cassa e ho guardato nel portafogli, c'erano un biglietto da dieci e uno da venti, ho preso naturalmente quello da venti. Il conto? Otto euro (due i panini, tre la birra, uno il caffè).

Otto euro non bastano in autogrill per un "Camogli", panino di fama sicuramente maggiore di quello di Pino al piccantino, non certo per meriti organolettici. Ora, chi mi conosce sa bene che io non cerco ad ogni costo il cibo a basso costo, anzi, sono molto ben disposto a spendere di più per qualcosa di buono. Ma se dovessi dire che quando ho sentito il conto sono stato scontento, direi una fesseria..

FG

P.S. Dal 2021, quindi piuttosto di recente, il bar ha anche una pagina FB dove (se siete membri della setta zuckerbergiana) potrete anche intravedere il mitico Pino dietro una pila dei suoi panini, insieme alla lista dei prezzi, a testimonianza della mia fedele testimonianza. Basta cercare "Stepi Bar Torino".