Pensierino di Ottobre 2024
Cucina e tradizioni
Uno dei temi ricorrenti nei pensierini è quello del mangiare e bere, e di conseguenza anche delle mode, attitudini, idiosoncrasie legate al cibo e alle bevande.
L'ultimo pensierino in argomento lo scrissi esattamente un anno fa, sintetizzando e commentando un po' di riflessioni personali e di esperienze dirette sull'argomento degli "Italiani a tavola". Da allora l'interesse anche mediatico sul tema è molto aumentato, anche grazie a questo governo che sugli equivoci dell'eccellenza e dell'importanza del settore agroalimentare nazionale ha fondato molta parte delle sue strategie, inventandosi addirittura un ministro sulla sovranità alimentare, denominazione che travisa totalmente il concetto di "Sovranità alimentare" nel suo significato originale. Un piccolo inciso al proposito.
"Sovranità alimentare" è una locuzione coniata recentemente per stigmatizzare l'estrema povertà di alcuni popoli e paesi e rivendicare un loro diritto. Il significato è: "Il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica". Chi riconosce in questo concetto il significato becero associato al nome del nuovo ministero meloniano o ci è o ci fa.
Per Lollobriggida & Co. sovranità alimentare vuol dire difesa dei marchi italiani nel mondo, sogno di pizze standardizzate, con divieto di ananas (reato penale) nelle pizzerie del Borneo e della Patagonia, obbligo di ogni ristorante in Kamchatka o in Turingia che riporti "Italianə" nel nome a proporre stracchino e mozzarella, barriere doganali al cibo che viene da fuori, divieto di consumare alimenti altrove leciti (vedi farina di insetti), protezione e sovvenzione delle produzioni di latte e olio in Italia e che gli altri vadano a farsi fottere, e furbate simili.
Senza contare che nessuno, nel governo, sembra essersi accorto della vistosa e profonda contraddizione degli obiettivi che vorrebbe perseguire e che sono incompatibili: da una parte la valorizzazione dei prodotti di nicchia, come le innumerevoli ed insensate DOC(G), DOP, IGP, IGT, VSQPRD, SPQR che sorgono ben più numerose dei funghi, dall'altra una pretesa egemonia mondiale che imponga regole a tutti i ristoranti che si fregino dell'epiteto di "italiano" a livello planetario. Senza riflettere che per rifornire di prodotti originali italiani tutte le "cucine italiane" del mondo bisognerebbe come minimo standardizzarne la produzione, rendendola industriale e massiva, alla faccia della "tipicità". In alternativa Lollo e la sua amica Giorgia mi devono spiegare come fare a rifornire i ristoranti italiani in Jacuzia e nell'Oregon con caciocavallo da mucca podolica del territorio di Andria. Insomma, insensatezza allo stato puro.
Eppure il popolo bue segue esaltandosi. Niente da meravigliarsi, è il popolo che li ha mandati a comandare, e le strambe credenze di cui sopra (galera per la pizza all'ananas, eccellenza dell'ineguagliabile ciliegia aspretta di Castel dei Pepoli, convinzione che Giuseppe Mazzini mangiasse pasta alla carbonara e che l'Europa ci voglia far mangiare formiche con l'imbuto) sono, a ben guardare, persino più diffuse del già purtroppo sterminato elettorato della destra... .
Fine del pistolotto politico, che comunque mi stava sul gargarozzo e quindi non ho potuto evitarlo.
Dopo il pensierino scritto l'anno scorso è venuta, in maggio, la lettura di un paio di libri che ha messo un po' di ordine in una serie di pensieri che mi frullavano in testa. Sapete quando qualcuno scrive esattamente quello che pensate, e lo fa mooolto meglio di voi? Questo fu. Amore a prima lettura. Un nuovo Bressanini della divulgazione culinario-alimentare. Feci una recensione, che pubblicai su FB e che riporto qui, per chi non l'avesse vista.
Anche grazie ad un certo tam-tam mediatico di alcuni brontoloni rompicazzo come me (ma più illustri di me), e alla pubblicità di un paio di trasmissioni televisive "di micchia" (come direbbe Checco Zalone), i due testi, di cui a lato vedete le copertine, hanno avuto una certa risonanza. E non ti dico il putiferio suscitato sulle reti sociali, che di quelle stronzate e luoghi comuni di cui sopra sono inesauribile vasello (inteso sia come raccoglitore che come traghettatore). Alberto Grandi, l'autore, autorevole ma non autoritario docente accademico di storia del cibo all'Università di Parma, è stato sottoposto a linciaggio mediatico ed ha subito anche diverse querele, tutte naturalmente finite nel nulla per evidente sostenibilità delle tesi che gli erano contestate.
Tra gli altri concetti espressi e ben dettagliati in uno dei due libri c'è quello della "invenzione delle tradizioni" in cui si dimostra, dati ed esempi eclatanti alla mano, come la maggior parte delle "tradizioni" culinarie italiane siano state letteralmente "inventate" tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli ottanta del secolo scorso, da esperti di comunicazione e marketing, con finalità ben precise.
Come sempre quando leggo qualcosa di interessante e stimolante poi non posso che notare ed annotare mentalmente quando mi capita di assistere ad episodi, leggere notizie, vedere interventi televisivi che confermano o contraddicono le tesi sostenute. Così, da qualche tempo raccatto le evidenze del fatto che il buon Alberto Grandi non ha ragione, ma straragionissima; e con questo pensierino voglio aggiungere esperienze e commenti personali agli argomenti sostenuti da Grandi.
Partiamo dal riportare i termini al loro significato originale. "tradizionale" ad esempio, vuol dire "che si tramanda di generazione in generazione". Naturalmente il termine "generazione" non è un buon metro per misurare il tempo, e potremmo stare a discutere che cosa voglia dire "una generazione". Allora tagliamo la testa al toro. C'è qualcuno che pensa che, ad esempio, Topolino oppure la Barbie siano "tradizionali"? Se si, perchè ormai ci ha giocato più di una generazione, tramandandoli alla successiva, allora questo qualcuno non vada avanti nella lettura: sarebbe inutile.
Immagino invece che possiamo trovarci d'accordo con gli altri sul considerare, che so, la tarantella come tradizione del sud Italia o la polenta come tradizione (o meglio, come cibo quasi esclusivo) delle regioni del Nord Italia. Perciò proseguiamo su questa strada, e stabiliamo arbitrariamente che possa definirsi "tradizionale" qualcosa che nasca e si diffonda prima del ventesimo secolo appena trascorso.
Sarebbe anche interessante capire se si possa definire "tradizionale" ad esempio la ricetta di un libro di cucina settecentesco che descriveva il desinare dei potenti e dei regnanti e non certo quello del popolo, che più che avere ricette tradizionali ruminava quel che gli capitava tra le gengive sdentate. Ma l'opulenza attuale ci rende difficile capire cosa volesse dire mangiare, allora, anche se i più vecchi come me hanno ricordi vividi dei racconti di quel che mangiavano i loro nonni, con un uovo spartito a metà tra il capofamiglia ed il resto della famiglia o una fetta di pane accarezzata su un'aringa affumicata appesa al soffitto, perché ne prendesse il sapore. Insaccati spesso rancidi, strutto, pane secco, polenta condita con polenta (al nord), pasta all'acqua calda (al Sud), un pugno di fagioli tonchiati (allora mangiare insetti e le loro larve era tradizionale ) e castagne secche bollite. Questa è la tradizione gastronomica italiana. Il resto ve lo può raccontare Grandi: se volete saperne di più sulla nascita della cucina italiana moderna, giusto vanto degli italiani nel mondo, vi rimando alla lettura dei due testi sacri.
Tornando a noi, ho rivisto quest'anno in questa luce la notizia (vedi qui, notizia ripresa integralmente da un quotidiano locale) della sagra dello stoccafisso a Badalucco, cui partecipai l'anno scorso in compagnia di amici sanremesi. L'articolo sarebbe da leggere con la lente di ingrandimento, tante sono le cose che si potrebbero commentare con sana ironia. Cominciamo da una data: La "tradizionale" sagra (anzi, "festival", visto che Badalucco è a due passi da Sanremo) nasce nel 1972, se non ho fatto male i conti. Confrontiamo con quello che dice Grandi sulla esplosione della "tradizione culinaria italiana"... Toh, sembra che in questo caso ci abbia azzeccato! (vabbè, sarà una coincidenza). Leggiamo nel sottotitolo l'aggettivo "storica" riferito alla festa, e anche qui un sorriso di compatimento è consentito.
L'articolo parla di un "evento atteso che celebra una delle più antiche e caratteristiche tradizioni culinarie della Liguria". Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Vallo a raccontare a tutti quelli che, da La Spezia a Ventimiglia passando per Genova, vantano le più antiche tradizioni culinarie della Liguria, e poi mi dici. Evito di commentare il resto (ma leggetevi il penultimo paragrafo, che parla di legame tra questo tipo di iniziative, il marketing e la politica, come da invettiva iniziale) per venire alla cosa veramente divertente, e cioè alla costituzione, finalmente, dopo 50 anni, della "Confraternita dello stoccafisso badalucchese", con tanto di "Gran Maestro" e "Gran Cordone" (mi ritorna in mente "Or se vuoi l'assoluzione..." di goliardica memoria). L'uso di termini desueti, di figure ed appellativi provenienti dalla notte dei tempi medievali, di toghe, nastri, medaglie, cordoni e scettri per "celebrare" lo stoccafisso cucinato a Badalucco è paradigmatico di questo modo di pensare e di presentare le cose.
Lo "Stoccafisso alla badalucchese" non è niente di più e niente di meno dello stoccafisso cucinato in tutto il Nord Italia da molto tempo, questo, sì "ingrediente" e non "ricetta" tradizionale della cucina norditaliana delle grandi occasioni, unica possibilità, insieme a suo cuggino il baccalà ed alle acciughe, di mangiare pesce di mare per tutti i paesi dell'interno. Ben maggiore risonanza mediatica (ma simile insignificanza storica) ha ad esempio la ricetta del "Baccalà alla vicentina", anch'essa a base di stoccafisso a dispetto del nome, origine di una "Venerabile Confraternita" ben più Storica di quella di Badalucco (risale, pensate, al 1987, epoca ormai venerabilmente remota). Tale risibile consesso di monomaniaci un po' patetici ha ottenuto riconoscimenti, essendosi mossa per tempo, in sede nazionale e perfino europea. Peccato, Badalucco ha perso il treno, e la sua è una palese scopiazzatura dell'iniziativa veneta, con buona pace della tradizione ligure. Riporto solo una foto di questi personaggi, tronfi nelle loro toghe d'antan, con in mano lo scettro dello stoccafisso, risibili maschere vanesie, ennesimo palesamento della futilità dei nostri tempi.
Termino sullo stoccafisso ed i suoi fasti con due noticine. La "ricetta tradizionale ufficiale" (ossimoro, ma chissenefrga) del baccalà alla vicentina prevede olio di oliva extravergine, ingrediente su cui mi permetto di dubitare in quanto veramente molto strano in una ricetta veneta "tradizionale". Magari scopriamo tra un paio d'anni che l'olio se lo facevano arrivare da Badalucco, così era pure una DOP taggiasca di qualità eccelsa/superior-sublime, con un gemellaggio simile a quello che già all'epoca (così sostengono antichi papiri egizi) i vicentini celebravano con i centottantarè abitanti delle Isole Lofoten, produttori emeriti dello stoccafisso più prelibato. Infine, ci sarebbe da riflettere sul "cui prodest". Direi che sicuramente, più che le pro-loco di Badalucco e di Sandrigo, ci guadagnano i ristoratori veneti acchiappagonzi che possono fregiarsi del "bollino" della confraternita, i venditori di vestiti da carnevale, produttori di toghe e stole medievali, ed infine i beati abitanti delle Isole Lofoten che, lofotendosene, dispensano alleanze e gemellaggi esclusivi a chiunque gliele chieda e si fanno dei bei viaggetti in Italia ogni tanto, ospitati dalle pro-loco e dalle venerabili Confraternite. E sono certo che, quando vengono, non mangiano stoccafisso nè alla badalucchese nè alla vicentina, e non bevono succo di mirtilli delle lande nordiche...
Basta così con lo stoccafisso che era naturalmente solo un esempio. D'altra parte basta fare un po' di mente locale e ognuno di noi avrà in mente decine di esempi di sagre, feste, celebrazioni di "eccellenze" culinarie o alimentari "tradizionali". Nessuno è immune, vedi ad esempio la locandina della sagra della polenta nel mio paesello natìo, borgo che naturalmente non si distingue in nessun modo per una ricetta particolare della polenta, ma che per lo meno ha scelto di celebrare un cibo veramente "tradizionale" nel senso proprio del termine
Termino il pensierino con un paragrafetto che ci riporta a bomba su una delle tesi di fondo dei libri di Grandi: L'Itali(ett)a si è inventata di sana pianta tutta questa grande "narrazione", come si usa dire oggi, per sopperire ad un problema fondamentale: l'impoverimento drastico di altri settori trainanti per l'economia (industria, innovazione, finanza, servizi). Scarsezza che lascia come possibile palliativo l'attrazione di valuta estera col turismo, ultima spiaggia per una nazione messa non benissimo. Il problema è che il turismo è una economia povera, fatta di lavori umili che gli italiani non vogliono fare, come il cameriere, l'addetto di cucina, il cuoco (e non parlo di cuochi stellati, naturalmente, ma di quelli da trattoria - ristorantino - pizzeria), la lavanderia, ecc. Il risultato è che i giovani italiani più brillanti se ne vanno all'estero, molti altri restano a casa sul groppone di assistenze di vario tipo, in primis quella familiare, e a fare i camerieri e i cuochi (e gli infermieri e gli stradini) ci vanno gli extracomunitari. Se questo è il risultato che il nazional populismo attualmente al potere vuole ottenere, direi che è sulla buona strada.
A suffragio di questi tristi ponzamenti vi invito a vedere fino in fondo il breve filmatino del buon Paolo Pagliaro andato in onda su "La 7" un paio di giorni fa (il 25 settembre scorso).
Sullo sfondo di questa pagina: Locandina della sagra della cotoletta mirabellese (credevate fosse l'altra, vero?) svoltasi a Mirabello (FE) dal 13 al 29 settembre u.s.
FG
P.S. Concorso per i lettori: se qualcuno scova da qualche parte una festa, sagra o celebrazione di una qualche eccellenza o tipicità alimentare italiana che sia più vecchia di me (che mi sento ancora un pischello) me lo faccia sapere, e sarò lieto di ripensare drasticamente ciò che ho scritto finora.