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Pensierino di Dicembre 2024

La carnivora redenta (favoletta edificante).

Le piante carnivore rovesciano gli equilibri naturali, sono attraenti secondo me proprio per essere un fenomeno quasi incomprensibile. La normale catena trofica (il modo in cui gli esseri viventi si procurano il cibo) prevede che le piante siano mediatori tra la non vita minerale e la vita vegetale ed animale. Utilizzando mirabilmente l'energia solare grazie alla fotosintesi riescono a trasformare la materia inorganica del mondo minerale in materiale organico, che costituisce nutrimento a se stesse e lo fornisce a tutti gli altri viventi: perché gli animali non possono mangiare la terra, le pisericeaante invece sì.

Il fatto che alcune piante mangino animali è un serpente che si morde la coda, una retroazione inusuale e perciò mirabile. Le piante carnivore esercitano una fascinazione che talvolta arriva ad estremi grotteschi, come la paura che possano rivoltarsi contro l'uomo. Ci terrorizzano addirittura in maniera più subdola e strisciante wink rispetto ad animali "pericolosi" come squali e grandi felini. Chi non ha visto una delle due versioni cinematografiche de "La piccola bottega degli orrori" smetta immediatamente di leggere un raccontino di cui non è degno risata.

Da un punto di vista botanico (perdonatemi, vi prego, la pedanteria) non esiste nessun gruppo tassonomico o filogenetico che raggruppa le piante carnivore. Dire "piante carnivore" è un po' come dire "animali con le ali", includendo insetti, uccelli e pipistrelli in un insieme che ha in comune solo un adattamento ecologico (lo sviluppo di attrezzi atti al volo), senza alcuna parentela evolutiva. Allo stesso modo, gruppi diversi di piante si sono evoluti diventando carnivore, cioè "adattandosi" ad integrare la propria dieta alimentare con prodotti organici semilavorati da altri esseri viventi. Questa circostanza si manifesta se il substrato nutritivo su cui vive la pianta è particolarmente povero di sostanze utili alla sua crescita (fosforo, potassio, azoto, zolfo...), sostanze che invece possono essere fornite da altre piante o animali morti. Le piante carnivore sono di vario tipo ed utilizzano stratagemmi diversi per catturare le piccole prede usate per integrare la loro dieta, una rassegna breve ma istruttiva la potete trovare ad esempio qventrataui.

Chiusa questa parente, vediamo un tipo particolare di piante carnivore: quelle che utilizzano come organo di cattura una struttura chiamata ascidio, che è una specie di bicchiere stretto e lungo (una flûte, per intendersi). In inglese queste piante vengono chiamate pitcher plants che vuol dire piante brocca, perché l'ascidio in alcuni casi può proprio sembrare una brocca o un boccale da birra, avendo anche una specie di manico. L'ascidio è la parte terminale di una foglia, modificata fino ad essere irriconoscibile, somigliando appunto ad un bicchiere o un boccale che ha quasi sempre anche una specie di coperchio (opercolo) che la sovrasta. Le piante brocca sono raggruppate nel genere Nepenthes, in italiano nepente. Sono diffuse nella parte meridionale ed orientale del continente asiatico, raggiungendo il massimo della biodiversità nelle foreste del Borneo.

Come fanno le Nepenthes a mangiarsi gli insetti? La foglia-bicchiere-brocca di cui abbiamo parlato ha al suo interno un liquido contenente pepsina, il più importante tra gli enzimi digestivi, presente anche nello stomaco di molti animali. La brocca delle Nepenthes è perciò praticamente uno stomaco a cielo aperto, in grado di digerire piccolissimi animali (principalmente insetti). Gli animaletti, attratti dal nettare presente sull'opercolo (il "coperchio") che sovrasta l'ascidio (la "brocca"), si posano sul bordo o sulle pareti, che sono estremamente viscide e quindi non offrono appiglio alle zampette. Scivolano perciò dentro lo stomaco che li aspetta, e vengono lentamente digeriti dal liquido lì presente.

Fin qui nulla di nuovo: l'esistenza delle piante carnivore era nota da molto tempo, e le Nepenthes erano già conosciute da Linneo, che diede loro il nome (che significa "stupefacente") immaginando lo stupore degli esploratori che, nelle foreste del Borneo, fecero la loro scoperta. Le nepente sono piante di una bellezza rara, affascinanti con le loro forme sinuose e i colori vivaci, che, insieme al profumo del nettare, servono ad attrarre gli insetti che poi verranno catturati da quegli stomaci vegetali. Per questo sono molto diffuse anche come piante da appartamento: ogni vivaista che tratta piante carnivore ne ha sempre un certo assortimrajahento.

La loro stranezza e bellezza ha anche attratto l'attenzione dei naturalisti, che fino a qualche tempo fa le hanno studiate soprattutto nelle serre, un po' meno dal vivo. Piuttosto recentemente (meno di 20 anni fa) spedizioni di appassionati ricercatori muniti delle più moderne tecnologie di indagine (es fototrappole a raggi infrarossi) sono partite alla volta delle giungle montane del Borneo per studiare le abitudini di una delle nepente più grandi e vistose, la Nepenthes rajah. Di questa pianta si favoleggiava che potesse anche nutrirsi di piccoli mammiferi, visto che le dimensioni lo avrebbero consentito e c'erano racconti locali di ossicini trovati all'interno delle "tazze" digestive.

Questi studiosi guardoni hanno osservato un fatto interessante: durante il giorno un piccolo mammifero, una specie di incrocio tra uno scoiattolo e un topo, un toporagno del genere Tupaia (Tupaia montana) andava a leccare il nettare prodotto dalla parte inferiore del "coperchio" della Nepenthes. Di notte accadeva la stessa cosa con un altro animaletto: un piccolo topo locale (Rattus baluensis). Le (o i?) Tupaia sono noti agli scienziati anche per essere gli animali che amano di più inciuccarsi, peggio di noi: di loro si sa che possono bere quantità di alcool tali da stordire un uomo, senza soffrire grandi problemi, ma di questo parleremo un'altra volta. Una analisi gascromatografica del nettare essudato dal coperchio della pianta ha comunque in seguito rivelato la presenza di alcool: la Tupaia lo sapeva già senza bisogno di gascromatogrtupaia rajahafia risata .

Queste specie di topolini, mentre si fanno il loro drink diurno o notturno, si accomodano sul sedile fornito dal bordo della tazza (e tra poco scopriremo quanto questo termine sia appropriato) e, non essendo educatissimi, ogni tanto si lasciano andare a bisogni corporali più o meno sostanziosi. Il prodotto della loro digestione trova naturale accoglienza nel contenitore sottostante... Occhei ci siamo dunque arrivati. Come ogni orticoltore o agricoltore ben sa, gli escrementi animali sono sostanze molto nutrienti per le piante, contenendo proprio quegli elementi nutritivi (fosfati, potassio, azoto, zolfo) scarsi nel loro ambiente ed utili per la crescita. Le Nepenthes del Borneo hanno perciò sviluppato una forma molto particolare di collaborazione con questi piccoli mammiferi, unico esempio di partnership vegetale-animale di questo tipo. Il topolino si lecca il nettare e in cambio fa la cacca dentro la tazza, e la pianta ne trae gran giovamento.

A corollario di quanto detto, e a dimostrazione della correttezza dell'ipotesi che la collaborazione pianta-animale non sia volta ad aumentare la dimensione delle prede (da insetti a topolini) ma proprio a favorire il circolo virtuoso basato sugli escrementi, ci sono le indagini statistiche, confermate da molte osservazioni. Queste hanno rivelato che mentre la maggior parte di piante osservate conteneva all'interno escrementi di tupaia e/o di ratto, solo rarissimamente si sono ritrovati resti di animaletti, e anche quelli di altri esseri viventi tipo piccoli rettili. Può infatti succedere che un topolino particolarmente piccolo o debole (e pure un po' ciucco) cada nel liquido digestivo e non riesca ad uscire, ma questa non è la regola: la pianta non sta evolvendo per mangiare topi ma le loro catupaia lowiicche.

Ad ulteriore suffragio di questa ipotesi c'è anche il fatto che queste nepente cambiano la forma dei loro ascidi da quando sono giovani alla fase della maturità: da piccole sono esclusivamente insettivore, perchè la dimensione degli ascidi non consentirebbe la comoda sistemazione dei toporagni, da grandi la struttura dell'ascidio e l'essudato dell'opercolo (vi ricordate cose vuol dire? no? vi dò quattro!) cambiano in maniera da attrarre i topolini e non gli insetti.

La scoperta del regime alimentare della Nepenthes rajah ha naturalmente stimolato (scusate il termine) indagini mirate a scoprire se vi fossero esempi simili, ed ha portato alla scoperta che un'altra Nepenthes di grandi dimensioni (Nepenthes lowii) ha le stesse abitudini coprofaghe di sua cugina. In questo caso, agli occhi di noi umani occidentali abituati ai lussi delle tazze ceramiche è ancora più evidente la convergenza evolutiva tra la defecazione umana e quella animale, e l'accoglienza adatta allo smaltimento e riciclaggio smile : Nepenthes lowii ha indubbiamente dimostrato buon gusto nel design ergonomico di attrezzi igienico-sanitari.

L'indubbia peculiarità di queste commistioni tra il mondo vegetale e quello animale, che integrano le ben note e melense (derivazione da miele) interazioni tra api e fiori, incoraggiano la ricerca in questo campo, come dimostrato da questo articolo recentissimo. In esso compare un geco delle Seychelles che lecca avidamente il coperchio di una Nepenthes, ma ancora non si sa se ci fa la cacca dentro oppure nogiggle. Basta coslowiiì.

Sembra perciò che alcune Nepenthes di grandi dimensioni si stiano riconvertendo da piante carnivore a saprofite coprofaghe, in un percorso che apparirà virtuoso a tutti i fondamentalisti vegeto-vegani i quali vedranno in quest'esempio una mirabile dimostrazione di quanto gli antropizzatori alla Mancuso vanno predicando. Questi (che secondo me sono quasi dei ciarlatani) affermano che le piante "sono intelligenti", "comunicano" tra di loro e con gli altri esseri viventi e "amano" la musica di Mozart. Per loro il fatto che esistano anche piante che hanno letto Kant ed obbediscono ad una imperiosa "legge morale" che le ha ormai indirizzate in un percorso virtuoso di redenzione dall'abominio del mangiar carne potrebbe essere la prossima scoperta. Addirittura questi esseri intelliggienti come espiazione dai loro peccati originali fanno atto di penitenza abbassandosi a nutrirsi di sterco, diventando così gli umili spazzini della foresta, a maggior gloria del riciclo ecologgico dei rifiuti. Posso scommettere che il prossimo libro di Stefano Mancuso tratterà del senso morale delle nepente rofl.

Tutte queste elucubrazioni ideologiche e pseudo intellettuali sono per chi ci crede. Non per me.

Antropizzare a tutti i costi la natura non ha senso: non siamo termine di paragone per ciò che ci accade intorno. L'evoluzione e le sue infinite e bizzarre creazioni non hanno bisogno di nulla di più per risultare mirabili e ispirare amore e passione. Basta osservarle nella loro immensa, affascinante bellezza e diversità.

FG

P.S. Se proprio siete guardoni e volete vedere dal vero un toporagno che fa la cacca nella tazza della Nepenthes, potete trovare qui il caso della Tupaia montana con la Nepenthes rajah, e qui quello dello stesso toporagno che si accomoda sulla Nepenthes lowii