La vespetta che fece vacillare la fede di Darwin
Quando Charles Darwin nel dicembre del 1831 partì per il suo viaggio sul "Beagle" intorno al mondo forse non sapeva di fare un sacrificio personale così grande. Il poverino infatti soffriva maledettamente di mal di mare, e una volta che ebbe rimesso piede sulla terraferma, al porto di Plymouth da cui era salpato 5 anni prima, non si mosse più da casa sua. Per il resto della sua vita si aggirò in pantofole, vestaglia e penna (scriveva moltissimo, per sé, agli altri e per gli altri) tra il salotto, lo studio e la camera da letto della sua grande casa di Shrewsbury, a nord-Ovest di Birmingham. Tra l'altro soffrì fino alla morte di malanni che forse si era portato dietro dal viaggio sul Beagle. Se avesse avuto la TV sai come si sarebbe goduto Discovery Channel o Superquark!
Quel viaggio era destinato a diventare uno dei più importanti della storia della scienza, e lui forse in fondo in fondo lo immaginava mentre metteva ordine tra tutte le cose che aveva imparato, e che si apprestava ad organizzare in una teoria logica e consistente, cosa che gli richiese oltre vent'anni di studio e che si materializzò, nel 1859, nel suo trattato sulla origine delle specie.
Al ritorno dal suo lungo viaggio Darwin riuscì a costruire una fitta rete di conoscenze (e di conoscenza) tra gli studiosi di scienze naturali del suo tempo, spedendo ai più grandi accademici dell'epoca quegli esemplari di fiori, conchiglie, insetti, frutti, semi che aveva raccolto come preziosi souvenirs, perché li sezionassero e studiassero approfonditamente.
Tra i corrispondenti più assidui del nostro amico Charles c'era Jean-Henri Fabre, il padre dell'entomologia moderna. Fabre è un personaggio mitico, almeno per il sottoscritto. Di nascita povera, si guadagnò da vivere come umile professore di fisica e chimica in una scuola di Avignone. Appena poteva però abbandonava il laboratorio, i becchi di Bunsen e le macchine di Atwood per uscire in campagna, a studiare i suoi amici esapodi. Appassionato osservatore, minuzioso annotatore e creativo ideatore di esperimenti per comprendere il comportamento degli insetti li studiò sul campo. Prima come passatempo grato nelle pause del suo lavoro, ed infine nella casa di campagna di Sérignan, dove si trasferì da pensionato, nella sua assolata Provenza profumata di lentisco, timo e rosmarino.
I dieci volumi dei suoi "ricordi di un entomologo" sono una lettura che non consiglio (per sventare il rischio di linciaggio) a chicchessia, ma chi abbia un interesse anche minimo per l'osservazione naturalistica farebbe secondo me bene a provare almeno il primo tomo pubblicato da Adelphi (che racchiude i primi due volumi dell'opera originale di Fabre). Qui mi fermo e mi scuso per lo spot pubblicitario, ma non ho potuto resistere.
Tornando a bomba, il buon Jean-Henri Fabre studiò accuratamente le decine di specie di vespe che gli ronzavano intorno, approfondendo la conoscenza di alcune di cui aveva notato comportamenti difficilmente spiegabili, o per lo meno bizzarri. Si interessò in particolare ad una famiglia di vespette a mio avviso estremamente eleganti e fotogeniche, gli icneumonidi. Questi imenotteri si riproducevano ed assicuravano alla prole una qualche chance di successo evolutivo in maniera molto peculiare.
Le bestioline sono classificate oggi come parassitoidi, e rimando a Wikipedia per una spiegazione esauriente del termine, che esula dagli scopi del racconto. Venendo al sodo, queste vespette depongono le loro uova all'interno di un ospite (un bruco o un insetto o un ragno). Quando l'uovo si schiude e ne esce la larva, questa si trova immersa nel cibo, ed inizia a pappare quel che si trova intorno, che guardacaso è la ciccia del bruco o dell'insetto in cui è stata inoculata.
Questo è già di per sé un comportamento che non tutti gli umani definirebbero moralmente accettabile, ma al peggio non c'è mai limite. Il buon professore, nella sua escavazione di nidi di vespette in cui erano conservati i cadaveri (o quello che lui considerava tali) degli insetti dentro i quali avevano iniettato le loro uova, si stupiva del fatto che questi insetti non sembravano morti. Infatti non si decomponevano, ma restavano freschi e vegeti, come se fossero ancora vivi. E quindi si domandò: "Ma non è che questi qua sono ancora vivi?"
Realizzò decine di esperimenti diversi, con icneumonidi diversi che inoculavano insetti diversi. Ogni vespetta ha infatti le sue preferenze: c'è chi preferisce i ragni (che in realtà proprio insetti non sono, ma le vespette sono di bocca buona) chi i curculionidi (absit iniuria verbis), chi le larve chi gli insetti adulti. E giunse ad una evidenza incontestabile: la vespetta non ammazza la preda con il suo affilato stiletto (ben visibile in figura). Semplicemente ne colpisce i gangli nervosi e così la paralizza, lasciandola viva. Questo naturalmente perché le sue larve, uscite dalle uova, abbiano carne fresca da mangiare, e non robba avariata perché marcita essendo conservata fuori dal frigorifero. Vi risparmio, lasciandoli alla vostra immaginazione, i dettagli di come le larve mangino le viscere della preda procedendo in maniera quasi chirurgica, lasciandola viva il più a lungo possibile per conservarla fresca.
Il rapporto interpersonale tra Darwin e Fabre, che avevano un fitto epistolario sui temi entomologici, era rispettoso ma asimmetrico. Darwin era un ammiratore di Fabre, che stimava e riteneva "Un osservatore inimitabile". Fabre invece si faceva beffe della teoria di Darwin, che riteneva cervellotica ed inspiegabile proprio alla luce dei suoi esperimenti. Come avrebbe fatto l'evoluzione casuale, argomentava Fabre, ad insegnare alla vespetta X che preda il ragno Y a colpire con il proprio spadino esattamente i gangli nervosi corretti? Fabre restò sempre fermo oppositore della teoria evoluzionistica, ed ancora oggi a leggere i suoi libri (ebbene sì, io l'ho fatto o per lo meno lo sto facendo visto che Adelphi deve ancora pubblicare i due ultimi volumi della sua opera) si comprende il perché.
E' interessante la grande impressione che gli studi di Fabre indussero in Darwin. In una sua lettera ad Asa Grey, botanico americano, nel 1860 Darwin scrive: " I cannot persuade myself that a beneficent and omnipotent God would have designedly created the Ichneumonidæ with the express intention of their feeding within the living bodies of caterpillars" (Non posso convincermi che un Dio buono ed onnipotente possa aver creato gli icneumonidi con l'esplicita volontà che essi si cibino del corpo vivente dei bruchi)
Indubbiamente le manifestazioni della natura (o, per chi come me ci crede, dell'evoluzione) a volte fanno a cazzotti con le nostre aspettative emotive o razionali: solo le leggi del caso, con la loro amoralità, rendono conto di queste stranezze. Lo stesso Darwin si arrende, e, nella stessa lettera, scrive: "I feel most deeply that the whole subject is too profound for the human intellect. A dog might as well speculate on the mind of Newton". (Sento nel mio intimo che tutta la questione è troppo complessa per l'intelletto umano. E' come se due cani discutessero della mente di Newton).
Tutto questo succedeva a fine ottocento. Chissà cosa direbbe oggi Darwin delle nuove scoperte, forse ancor più strabilianti per perfidia e stranezza. Come quella delle formiche sudamericane che, infettate da un fungo del genere Ophiocordyceps che penetra nel loro sistema nervoso, vengono trasformate in zombie al servizio della riproduzione del micete, che le costringe ad azioni inconsulte come salire su un ramo e appendersi a una foglia a testa in giù (la foto è stata ruotata di 180 gradi per renderla meno stramba) . Il funghetto fuoriesce poi da una connessura tra il collo e la testa dell'insetto, forandone l'esoscheletro come un Alien in miniatura.
E che cosa penserebbe delle innocue lumachine dei generi Oxyloma o Succinea, e del loro inaspettato ospite? Queste piccole chiocciole terrestri, simili a quelle che i francesi mangiano à la Bourguignonne, sono vittime incolpevoli di un vermiciattolo platelminta, il Leucochloridium paradoxum, che le usa non come cibo, ma semplicemente come insegna pubblicitaria.
Il verme è un parassita di varie specie di uccelli, e vive nel loro intestino nutrendosi del loro sangue ed altri liquidi corporei senza uccidere l'ospite. Al tempo della riproduzione i vermi si accoppiano allegri rotolandosi nelle feci intestinali dell'uccellino e lasciano andare le uova nelle di lui budella. Il passerotto scagazzando a destra e a manca condisce diverse saporite erbette che sono nutrimento delle povere chioccioline di terra, che sfortunatamente non usano amuchina per lavare l'insalata. Quando il piccolo gasteropode si fa una bella mangiata di verdurine fresche introduce suo malgrado le uova del viscido vermetto, che si schiudono nella sua panza in decine di vermetti. I neonati si incistano in strutture chiamate sporocisti (specie di sacchettini che li contengono). Le sporocisti si formano nel fegato della chiocciolina, giusto per dare qualche dolorino in più.
All'interno delle sporocisti i vermicelli si riproducono ancora, per suddivisione asessuata, fino a riempire i sacchetti, che diventano specie di palloncini trasparenti brulicanti di vermiciattoli. In qualche modo i sacchettini si trasferiscono dal fegato della lumachina fino ad occuparne le antenne (avete presente le antenne delle chiocciole nostrane, con in cima gli occhietti neri? Bene, quelle delle chiocchiole Succinea sono molto simili, quasi uguaglie). Non contenti di aver colonizzato le antenne, i vermetti dentro le sporocisti si mettono a pulsare ritmicamente (Sconsiglio la visione del video ai deboli di stomaco) cambiando colore, rendendo così le antenne della chiocciola simili a bruchi che camminano.
Questa vera e propria mimesi trasforma i cornetti delle chiocciole in bruchi vivi, che come insegne al neon attraggono irresistibilmente gli uccelli che di quei bruchetti colorati sono particolarmente ghiotti. Come se non bastasse, la povera lumachina che di solito se ne sta nascosta tra l'erba, probabilmente per il fatto di essere quasi accecata da questi intrusi modifica il proprio comportamento e va alla ricerca di luce, esponendosi quindi in maniera maggiore alla vista degli uccellini affamati.
Quindi i volatili di passaggio, dopo aver cagato le uova, si rimangiano gli sporocisti, staccando le antenne alle povere lumachine (Cheddoloooreeehh!! direbbe Massimo Boldi) e in questo modo rimettendosi in corpo i vermi parassiti, che vivranno a spese del loro sangue e liquami vari. Per sommo della sfiga, alla lumachina a volte le antenne ricrescono, ma sono subito invase dalle altre sporocisti che stavano in attesa di entrare nel corpo di un fringuello, e vengono nuovamente ingurgitate, riaccecando l'innocua lumachina.
Insomma, se Darwin oltre a Fabre che gli raccontava dei "crudeli" icneumonidi avesse avuto Wikipedia a parlargli di formiche zombie e lumachine trasformate in insegne al neon per uccelletti affamati e a loro volta succhiati da vampiri intestinali vermiformi avrebbe probabilmente pensato:
"Non c'è più religione!!!"
FG
P.S. Non sono balle, loggiuro! basta googlare "Ophiocordyceps unilateralis" o "Leucochloridium paradoxum"...