22 Ottobre - Yangon
All'aeroporto ci accoglie (con evidente reciproco sollievo per il rendez-vous riuscito) Teo, il tour operator locale che ha organizzato la parte logistica del nostro viaggio. Poche formalita', primo cambio di dollari in Kyat (la valuta locale) all'aeroporto, poi usciamo e facciamo la conoscenza di Aung, che sara' il nostro guidatore per la prima parte del viaggio (fino a Mandalay) e del suo van, che sara' la nostra residenza onthe road.
Il mezzo e' molto spazioso e confortevole, consideriamo che se fossimo stati due coppie invece che soli avremmo ulteriormente risparmiato, visto che saremmo stati comunque comodissimi ed avremmo speso la stessa cifra per la parte del trasporto.
Nel tragitto che ci porta all'albergo (East Hotel, a due passi da Sule Paya, il centro del centro di Yangon) cominciamo ad abituarci allo strano modo di parlare l'inglese di Aung, il nostro futuro guidatore (Teo parla un buon italiano e con lui non ci sono grossi problemi) e a notare le particolarita' del paesaggio e della gente. Notiamo che quasi tutte le donne e i bambini hanno le guance e talvolta la fronte impiastricciate di una sostanza bianco-giallina che sembra spalmata col pennello, a volte in maniera decorativa. Teo ci dice trattarsi del thanaka, una crema protettiva e leggermente profumata che viene preparata dalle donne e ritenuta un balsamo tuttofare. Le immagini forse piu' caratteristiche che ci rimarranno in testa, come denominatore comune di questo viaggio, sono gli stupa dorati onnipresenti nel paese ed il viso delle graziose donne e fanciulle birmane pennellato di thanaka.
In Hotel ci liberiamo di buona parte del pesante fardello di dollari che ci siamo dovuti portare in contanti (la situazione cambiera' tra breve, ma a tutto il 2012 le carte di credito ed i bancomat non esistono in Birmania) pagando il viaggio a Teo.
Una mezzoretta di riposo in camera e poi si parte per il primo giorno di visita di Yangon. Il nostro bravo Aung ci porta dapprima in un bellissimo mercato coperto, dove a pianterreno si vendono generi casalinghi vari (tessuti, detersivi, stoviglie etc) mentre il piano sotterraneo e' una specie di inferno dantesco dove si vende cibo di tutti i tipi. La cosa piu' impressionante, al di la' della calca umana, e' la puzza intensissima di pesce marcio, dovuta alla grande quantita' di pesce essiccato in vendita. In Birmania il pesce ed i gamberetti essiccati sono un ingrediente fondamentale per la cucina, da loro molto apprezzato. In alcuni momenti, pur essendo di stomaco non debole, ho avuto seri problemi di resistenza ai conati di vomito. Il resto lo leggerete sul diario di Madda qui sotto.
I Docks sono un luogo semplice e affascinante, di lavoro, fatica, vita in estrema poverta' ma vissuta con la dignita' di chi si guadagna da vivere con le proprie braccia e la propria schiena curva sotto i carichi inumani delle merci da trasportare. Qui il betel la fa da padrone, per alleviare (in maniera fittizia) la fatica.
Dopo questa full immersion nella vita reale della citta' e della gente, andiamo a fare i turisti e visitiamo, nell'ordine: Il Buddha sdraiato di Chauktatgyi, la pagoda piu' importante di Yangon (e quindi dell'intera Birmania) Shwedagon Paya, ed una pagoda piu' piccola ma affascinante per la sua particolarita', in riva al fiume: Botataung Paya. Una cosa interessante del Buddha sdraiato: qui, come nell'altro Buddha sdraiato monumentale che vedremo domani a Bago, in una tabella sono riportate minuziosamente le misure totali e delle varie parti del corpo (no, QUELLA non c'e'... ) dell'enorme statua.
Un'altra curiosita' riguarda una foto fatta alla Shwedagon Paya, in cui si vede una gabbia gremita di uccellini. La gente viene qui ed in altri templi anche per pregare e fare buone azioni, in modo di ingraziarsi gli spiriti che regolano la vita quotidiana (lo so, c'entra poco col buddismo, ma qui come ho gia' accennato c'e' un sincretismo tra il buddismo, arrivato piu' recentemente, ed una piu' antica tradizione animista, tangibile nelle mille raffigurazioni degli spiriti NAT ed anche di personaggi storici in qualche modo "santificati"). Sicuramente liberare un uccellino in gabbia e' visto come una buona azione, percio' c'e' chi imprigiona gli uccellini in gabbie anguste, e poi vende la possibilita' di liberarne uno o piu' a seconda di quanto buona vuol essere l'azione. Lo so, e' un po' strano, in questo modo si incentiva la barbarie della cattura preventiva degli uccellini per poi poterli liberare... Ma i birmani sono gente piuttosto semplice, e probabilmente non si pongono troppi problemi. D'altra parte, se c'e' in Italia chi crede ancora alle balle di Berlusconi, i birmani avranno ben diritto di credere ai NAT ed alla bonta' di liberare un uccellino catturato proprio per questo scopo, no?
Bon, vi lascio alle foto del mercato e del porto, del Buddha sdraiato e delle pagode, e al diario di Madda.
Il Diario di Maddalena: 22 ottobre, 1° giorno
Arriviamo puntuali, alle 10:15. Prima ancora di uscire riconosciamo Teo che ci aspetta fuori dal grosso cartello con i nostri nomi, premuto contro il vetro. Ritiriamo i bagagli e salutiamo Teo. In pochi minuti la nostra auto - un VAN da nove posti - arriva con l'autista dal nome impronunciabile, che inizia con Aung. Si pronuncia piu' o meno Aon, e noi siamo autorizzati a chiamarlo solo cosi'. Prima tappa in albergo, East Hotel, dove ci accolgono con un bicchierino di simil te' al gusto di citronella (quella per scacciare le zanzare) e con caramelline al tamarindo. Prendiamo possesso della camera, la 302, ma piu' tardi migriamo alla 804 perche' con finestra, quindi piu' luminosa e (mi illudo) piu' ariosa. Scopro solo dopo che la finesra non si apre, ma e' solo una vetrata. Simpatico (!) il bagno, una specie di prolungamento della camera, senza porta (sic!) ma con una "tenda" fatta di soli quattro fili che pendono dal soffitto, e le perline sui fili sono bocce grosse come noci di cocco...
All'una siamo pronti per iniziare la visita di Yangon: Aung ci aspetta puntuale. Su nostra richiesta ("c'e' un qualche mercato coperto dove passare un po' di tempo visto il caldo che fa a quest'ora?") ci porta in una specie di inferno: un food market coperto, in un seminterrato, che sembra il Suk di Marrakesh, anzi, peggio, perche' qui siamo al chiuso. Chioschi e banchetti addossati sui due lati di uno stretto passaggio, e odori indescrivibili. Spezie e agli e cereali di tutti i tipi, ma anche e soprattutto pesci di varie forme essiccati, nonche' miriadi di gamberetti, secchi anch'essi, suddivisi per grandezza. Tutto in mucchi ordinati, in un'orgia di colori e odori! La merce e' disposta ovunque, le cipolle in grossi sacchi a piramide, i peperoncini appesi a grappoli e dappertutto una moltitudine brulicante di piccoli birmani, le donne a comprare, gli uomini stracarichi a trasportare sacchi e noi a scansare le une e gli altri.
Usciamo dopo una ventina di minuti con la sensazione di lasciare un girone infernale, ma anche affascinati da quanto visto. Aung ci porta quindi in riva al fiume, in una zona tipo porto. Anche li' la varia umanita' brulica: i banchetti che vendono cibo di ogni tipo, dalle banane agli spiedini di carne o pesce, frittini vari e addirittura un bel vassoio di cavallettone (o scarafaggi?) abbrustoliti (NDR: in realta' erano cavallette fritte). Poi pile di cassette di uova e cavoli e verdura di ogni tipo. Ma soprattutto venditori e masticatori di betel, ovunque. (NDR: I Docks di Yangon sono una zona molto povera, dove gli scaricatori di porto lavorano durissimo e guadagnano pochissimo. Questo spiega l'abbondante uso di betel, che come la coca in America Latina e' usato per attutire la fatica e darsi un po' di falsa energia). Gente stravaccata che si riposa, gente sudata che carica e scarica chiatte e barconi, gente accovacciata che mangia, insomma quello che ci si aspetta in un posto di questo tipo in un paese di questo tipo.
A questo punto bisogna iniziare il tour vero e proprio: cosa meglio del Buddha reclinato nella Chauktatgyi Paya? Uno statuone con le unghie di mani e piedi rosa confetto, che se ne sta placidamente sdraiato dentro una sorta di capannone, la Pagoda o Paya per l'appunto.
A seguire, la meraviglia di Yangon: La Shwedagon Paya, enorme stupa (cupolone) dorato al cui cospetto si arriva risalendo uno dei quattro scaloni coperti rigurgitanti bancarelle sui lati. Ovviamente, e come faremo d'ora in poi ovunque ci sia un'ombra di tempio o di Buddha in qualsiasi forma e posizione, dobbiamo camminare a piedi completamente nudi, senza scarpe ne' calze (NDR: almeno in India il calzino era concesso...). Ai piedi della scalinata due enormi leoni-grifoni ci accolgono. Arrivati in cima lo spettacolo e' notevole: L'enorme Stupa dorato e' circondato da tantissimi stupa piu' piccoli, di varie dimensioni. E poi templi, colonne decorate da mosaici e specchietti, statue di tutti i tipi, sale salette e saloni ognuno con statue di Buddha, di spiriti e spiritelli vari, i NAT (NDR: semidivinita' il cui culto si tramanda da religioni arcaiche prebuddiste). E da ogni parte gente che prega, medita, si riposa, chiacchiera, sistema fiori, regala banconote che infila un po' ovunque. Noi ci sentiamo un po' fuori posto, ma questo era scontato.
E poi visto che una pagoda tira l'altra, ci fiondiamo subito dopo alla Botataung Paya. Questa pagoda e' particolare perche', diversamente da tutti gli altri, lo stupa centrale e' cavo, e vi si puo' entrare. All'interno c'e' una specie di labirinto, tutto ricoperto di foglie d'oro e mosaici di specchi. Al centro del labirinto c'e' un piccolo santuario con una teca che contiene (si dice) una reliquia del Buddha. Il pavimento e' ricoperto per diversi centimetri dalle banconote offerte dai fedeli! Fuori, tra templi e tempietti con annesse statue di Buddha e Nat vari, uno stagno ospita decine di tartarughe e (disgustosi! cfr. il viaggio in India - Jaisalmer) pesci gatto, pasciutissimi del cibo che gli ospiti della pagoda lanciano nell'acqua.
All'uscita il nostro amico Aung ci porta a fare quattro passi nelle vicinanze, lungo il fiume: di nuovo possiamo osservare la varia umanita' che popola le rive. Siamo abbastanza stanchi, decidiamo di farci accompagnare in albergo e lasciare libero l'autista. Un po' di relax, una doccia, un tentativo (riuscito!) di scrivere una mail a Ettore e Robi, e siamo gia' di nuovo pronti per uscire. Due passi nelle affollate vie del centro, vicino al nostro albergo, fino a Sule Paya, dove pero' non abbiamo voglia di entrare: per oggi basta toglierci le scarpe, basta piedi lerci, basta Buddha e statuine con le orecchie a punta! Giriamo tutto intorno alla Paya e sbirciamo l'interno dalle quattro entrate: possiamo piu' o meno immaginare il resto...
Diamo un'occhiata a qualche ristorante nei paraggi, poi decidiamo di cenare in Hotel. Prima pero' ci facciamo una birretta in un baretto dove scopriamo che in realta' tutti bevono whisky locale (chi mescolato con la birra, chi liscio o con ghiaccio). Ottima cena, condita da un po' di malumore per il piu' o meno velato rimpianto di Gu di essere stato "costretto" a decidere per la cena in Hotel anziche' in un luogo piu' ruspante e autentico...
Infine, tocchiamo il letto e di colpo sprofondiamo nel mondo dei sogni, dalle 9:30 alle 7 del mattino, tutto di filato.