23 Ottobre: Bago - Golden Rock

Be', visto che il diario di Madda per oggi e' abbastanza esauriente faccio raccontare quasi tutto a lei. Giusto per avere un veloce puntatore alle foto, diro' che sulla strada che da Kyaik Pun PayaYangon va al monte Kyaiktiyo si passa da Bago (o Pegu), una cittadina con alcune cose interessanti da vedere: un monumento con quattro Budhha seduti, un Buddha sdraiato che ricorda molto quello di Yangon, ma un po' piu' piccolo e (almeno secondo me) un po' piu' bello, il Tempio del Serpente e una bella Pagoda ricoperta d'oro. Ma prima do' la mia visione della salita al monte Kyaiktiyo, sulla vetta del quale sorge la Roccia d'Oro. Una delle esperienze "forti" di questa vacanza. Anche questa ascensione cosi' particolare probabilmente tra non molto cambiera' profondamente volto, per rendere piu' agevole (e quindi piu' redditizia) la visita al luogo sacro.

Il giorno dopo, discendendo dal tempio verso valle, prima a piedi e poi in camion, abbiamo anche fatto qualche ripresa con la telecamera, che potete vedere qui.

E adesso, beccatevi il mio raccontino:

La salita alla Roccia d'Oro (Golden Rock)

La Roccia d'Oro e' un masso in bilico, in posizione che appare moto precaria (come mito di roccia "miracolosamente in piedi" mi ha ricordato molto il Sasso Spicco della Verna, sotto cui pare San Francesco si raccogliesse in preghiera). Qui naturalmente hanno leggermente "riadattato" il luogo naturale, costruendo sul cucuzzolo del masso un piccolo Stupa d'oro (che si dice contenga un capello del Buddha... Ma quanti capelli aveva 'sto Buddha, ce ne sono sparsi in giro per tutto il mondo, ed in Birmania in particolare!) e ricoprendo completamente il masso stesso di foglie d'oro.

La Roccia e' proprio sulla ampia vetta di un monte non particolarmente alto, il Monte Kyaitkiyo, un migliaio di metri circa. Le pendici del monte sono ricoperte da una fitta jungla, e dal paesello sottostante, Kinpun, esiste una sola strada che sale fino al santuario sulla vetta, una strada molto stretta e tortuosa, col fondo in cemento sagomato per agevolare la presa dei pneumatici sulle salite molto ripide e sui tornanti a strapiombo. La strada e' lunga una dozzina di Km, ed e' percorribile solo da camion abilitati al trasporto persone (ma anche merci, visto che sulla vetta oltre ai templi vive una discreta comunita' locale dedita alla vendita di ogni genere di cianfrusaglia).

Sul CamionLa corsa e' a prezzo fisso, piuttosto economico (un euro e mezzo a persona solo andata), ma le condizioni di trasporto sono veramente disagevoli e primitive. I camion sono tutti uguali, l'unica differenza che ho notato e' che i piu' vecchi e scassati hanno assi di legno su cui sedersi, nei piu' nuovi le assi sono ricoperte da una piccola imbottitura che le rende leggermente piu' confortevoli. Le assi sono in numero di sette per camion, sono larghe una dozzina di centimetri e sono distanti tra loro non piu' di 40 cm. Insomma, tutto a misura di culo e coscia birmana media. I camion non hanno orari, ma partono quando hanno imbarcato almeno quaranta persone (spesso ce ne stanno di piu', comunque).

Le foto come al solito non rendono piena giustizia alla realta'. Si sale sul camion dall'esterno, con apposite scalette su ruote (mutatis mutandis simili a quelle degli aerei), scavalcando la balaustra si cerca di accomodarsi nei buchi disponibili. Arrivare presto e' buono perche' ti scegli il posto, ma e' brutto perche' poi devi aspettare che si riempia. Noi siamo arrivati tardi, abbiamo aspettato non molto, ma abbiamo dovuto accontentarci di due buchi rimasti, neanche vicini. Ho fatto accomodare Maddalena e poi mi sono fatto largo a culate tra un signore ed una giovane donna.

La ragazza aveva meno di venti anni, pesava meno di venti chili, e aveva un bimbo di meno di venti giorni in braccio, che dormiva beato. Il marito credo fosse quel tizio che saluta dietro di me nella foto, un giovinastro con la bocca rossa di betel e un aspetto non proprio raccomandabile. Appena seduto mi sono reso conto di cosa mi aspettava: l'asse di legno che avevo sotto le chiappe mi faceva gia' male, le ginocchia piantate contro l'asse davanti anche. La breve distanza tra le file mi costringeva a sedere non proprio sulla parte piu' morbida dei glutei, ma un po' arretrato con il culo mezzo fuori dietro l'asse.

Quando il camion e' partito, i miei incubi sono diventati realta': gli ammortizzatori credo non fossero stati ancora inventati all'epoca di costruzione del camion, dopo qualche minuto avevo gia' i lividi sotto le cosce. Poi la strada ha cominciato a diventare tortuosa, e li' il guidatore, I miei vicininon so se per imperizia o piu' probabilmente per puro sadismo giocava a vedere quanta forza centrifuga potesse sprigionare in ogni tornante. Ho cominciato a temere seriamente per l'incolumita' fisica della mia fragilissima vicina e per il suo ancor piu' fragile carico. Senza una qualche maniglia cui tenersi la mia massa circa doppia di quella di un birmano normale (e quindi almeno quadrupla di quella della ragazza) rischiava di avere effetti devastanti se non fossi riuscito a controllarne gli spostamenti improvvisi.

Reso cauto dalle possibili reazioni degli interessati (ragazza e probabile compagno) ho resistito per un po' ad adottare quella che vedevo come unica soluzione al problema, poi ho deciso di rischiare: ho passato il braccio sinistro cingendo la ragazza da dietro per afferrare la ringhiera del camion, cercando cosi' di limitare i bruschi spostamenti ed il rischio di morte per spiaccicamento della mia vicina. La situazione fortunatamente ha reso evidente la ragione del gesto, e l'ho sentita adagiarsi se non con abbandono almeno con tranquillita' sull'insperato schienale che le dava conforto e sicurezza. Il bimbo dormiva tranquillo.

Bello, no? Bello un tubo! dopo una decina di minuti non solo le gambe erano ormai due pezzi di legno: Il braccio sinistro mi doleva da morire, dovendo contenere non solo i miei spostamenti, ma anche sostenere la ragazza e il bimbo, che continuava a dormire.

Non so come ho fatto a scendere dal camion ma, guardando le foto, mi sembPortantinara che anche Madda non vedesse l'ora... E purtroppo (almeno per lei) la parte piu' dura del Calvario (mai accostamento fu piu' azzeccato) doveva ancora iniziare. Il sadismo birmano non si accontenta di triturarti le chiappe su delle dure assi di legno per tre quarti d'ora di salita. L'ultimo pezzo infatti va fatto a piedi, ed e' un bel pezzo. Certo, per noi abituati ad andar per monti che cosa saranno 300m o poco piu' di dislivello? Una passeggiata.

Ma sulle nostre montagne non fa cosi' caldo. E cosi' umido. E Maddalena stava male. Ho insistito perche' almeno lei si facesse portare da una delle portantine che i ragazzi locali costruiscono con bambu' e vecchie sedie a sdraio, e che poi usano per effettuare un servizio di taxi per l'ultimo pezzo di salita. Ma lei non ne ha voluto sapere.

E ha fatto male. A meta' salita ha avuto un piccolo collasso, fortunatamente passeggero, che pero' mi ha fatto preoccupare. A quel punto mi sono caricato tutta la mercanzia (avevamo dietro il necessario per passare la notte in un albergo vicino al tempio) e in un modo o nell'altro siamo arrivati. Fortunatamente il posto, l'albergo e anche la cena valevano la faticata...

 

Il Diario di Maddalena: 23 ottobre, 2° giorno

Da Yangon al Monte Kyaiktiyo, ovvero La Golden Rock, passando per Bago. Lasciamo Yangon passando davanti alla casa di Aung San Sun Kyi (NDR: L'eroina della rivoluziona democratica birmana). Subito fuori citta' visitiamo il Kyauk Dawkyi (pronuncia Ciouc douci), un gigantesco Buddha seduto scolpito, pare, in un unico blocco di marmo. Nei pressi c'e' un parco dove due elefanti bianchi (in realta' rosa pallido) considerati di buon auspicio fanno triste mostra di se', incatenati a catene cortissime e pressoche' impossibilitati a muoversi. Andiamo a vederlo perchè la Lonely lo cita, ma scappiamo subito, intristiti...

Dopo Yangon ci attende Bago, cittadina ricchissima di templi e monumenti. La Kyaik PunPaya e' affascinante, con i suoi 4 Buddha seduti schiena contro schiena intorno ad una specie di cubo. Sono alti 30 metri e sembrano identici... Facciamo un giro nei paraggi, siamo nella giungla e qua e la' intravvediamo piccole pagode.

Mi ricordo di aver letto di un monastero dove viene venerata un'enorme pitonessa, cosi' chiediamo al nostro autista se lo conosce, ovviamente si'. Ci addentriamo un po' nella giungla col nostro van, imboccando stradine sterrate e attraversando poveri villaggi di baracche. Qui vediamo per la prima volta la miseria vera, uomini come animali in mezzo alla sporcizia, e capre, maiali e polli in perfetta mescolanza con le persone. Poco dopo arriviamo allo "Snake Monastery", e la pitonessa e' davvero impressionante da quanto e' grossa! Se ne sta tra mazzette di banconote, sciarpine e cibo donato dai fedeli.

Ma Shwemawdaw Payabisogna ritornare alle pagode e ai Buddha, e non farsi distrarre dai diversivi... Cosi' in rapida successione visitiamo la Shwemandaw Paya (alta 113 mt e tutta ricoperta d'oro) e un altro Buddha disteso gigantesco: il mignolo e' lungo 3 mt, avvisa un cartello! Questo e' piu' riccamente decorato (NDR: ma e' un po' piu' piccolo) di quello di Yangon. Le piante dei piedi sono decorate con mosaici bellissimi e misteriosi per noi che non conosciamo i simboli rappresentati.

Finite le visite partiamo per la nostra ultima destinazione della giornata, la Roccia d'Oro, ma prima compriamo delle banane e dei biscotti che mangeremo in viaggio. Il nostro autista oggi digiuna perche' questo e' uno dei tre mesi all'anno sacri per i buddisti, e lui nei mesi sacri digiuna (NDR: ma solo a pranzo, mi par di ricordare) un giorno a settimana. Dopo un paio d'ore siamo arrivati, e qui inizia il bello.

Dormiremo in un hotel dove la nostra auto non puo' arrivare, poiche' e' vicinissimo alla Roccia d'Oro, e li' tutto il territorio e' off limits per i mezzi di trasporto privati: o ci vai a piedi o con uno dei camion abilitati al percorso. Prendiamo il necessario per la notte (poca roba, giusto un cambio di maglietta, pigiamino e spazzolino) piu' tutti i nostri averi (PC, macchina foto, telecamera e soldi, e salutiamo Aung dandogli appuntamento per il giorno successivo).

Ora sono cavoli nostri: saliamo su un camion insieme ad una vera folla: alla fine saremo tra i 40 e i 50, stipati su panche strette 10 cm (tipo doghe per i letti), in sei, sette ma anche otto o nove se ci sono bambini. Nella mia fila siamo appunto in 9! Sul camion ci sono sette panche una dietro l'altra, a distanza di 30-40 cm tra loro.

Il camion parte, su per una stradina di cemento tutta curve e con pendenze improbabili, a tutta birra. Durante la folle corsa si resta seduti formando un unico agglomerato umano, ginocchia che reggono i culi davanti e corpi dei vicini che assorbono come ammortizzatori gli effetti della forza centrifuga!!! Saltelliamo, scivoliamo e ci puntelliamo come meglio possiamo, e dopo tre quarti d'ora (NDR: tra i piu' lunghi della mia vita) arriviamo a destinazione (o per lo meno la destinazione del camion...).

Come dice Gu, la piazza dove il camion ci lascia sembra lo spazioporto di Guerre Stellari, e noi, insieme agli altri turisti, siamo gli alieni. Gli altri sono una folla di pellegrini che man mano salira' al monte, piu' i soliti venditori di cappelli, bibite, frutta tenuta sulla testa etc. Ma la vista particolare e' costituita da una moltitudine di ragazzi in divisa (camicia blu e longy vari): si tratta di barellieri particolari. In quattro portano due lunghi bastoni (NDR: di bambu'), ogni ragazzo ne regge una estremita', su cui e' montata una sorta di sedia a sdraio. Li' si accomoda il pigrone di turno per essere portato in cima senza fatica. Noi no, noi siamo determinati a fare da soli. A dir la verita' Gu vorrebbe che io mi facessi portare (NDR: perche' stava male, senno' col cavolo) ma io insisto: non sono mica una pappamolle! E infatti a meta' tragitto circa sto malissimo, a momenti svengo... Forse per via dell'antibiotico che sto prendendo (NDR: Forse, neh?) a causa di una specie di faringite che avevo gia' in Italia o che ho preso sull'aereo, boh?, unita alla stanchezza (la salita e' ripidissima). Golden Rock Fatto sta che ho iniziato a sudare copiosamente (NDR: io ero bagnato come se mi fossi buttato nell'acqua tutto vestito), mi si annebbia la vista e mi sento morire. Passo qualche minuto seduta su un masso e pian piano riprendo vita. Riprendiamo a salire, sempre con fatica, ma a desso è accettabile.

Arrivati in cima decidiamo di non fermarci all'Hotel anche se ci passiamo davanti, sperando di beccare al meglio la Roccia d'Oro, ancora con la luce del tramonto. Cosi' e', anche se le nuvole sciupano un po' l'effetto scenografico. Fotografiamo la Roccia d'Oro da tutte le angolazioni possibili, e ce la godiamo anche quando arriva il buio: con i riflettori accesi tutto quell'oro brilla e l'effetto e' notevole. Io non posso avvicinarmi del tutto, due militari bloccano l'accesso alle signore (NDR: solo gli uomini possono appiccicare le foglie d'oro sulle statue e sui monumenti). Come in tutti i luoghi sacri qui in Birmania, pero', il vero spettacolo lo fa la gente, che prega o passeggia o se ne sta seduta o sdraiata in compagnia, a ridere e a chiacchierare. Niente male anche la vista tutto intorno, dall'alto degli oltre 1000 metri dove siamo.

E' ora di cena e rientriamo in Hotel: dopo una rinfrescata e soprattutto un accurato lavaggio dei piedi possiamo godere di un'ottima cena Myanmar Style: riso e verdure, pollo, maiale con intingoli vari, proprio niente male! Dopo cena (sono solo le otto e mezza) decidiamo di riandare fino alla roccia, e facciamo bene: nessun turista e in generale poca gente, pace e silenzio, insomma un'altra immagine rispetto a quella affollata e chiassosa del pomeriggio. Cosi' arriva l'ora della nanna, anche se sono solo le dieci siamo piuttosto cotti, e domani la sveglia e' alle sei e mezza...

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